Nel 2022 si è registrato l’attuale record negativo per percentuale di debito pubblico detenuto dai residenti, esclusa la banca centrale: 45,64%. Non tutti sanno che un altro record relativo importante si è registrato: la banca centrale detiene il 25,7% del debito pubblico, valore che non si registrava da metà anni ’70 (tornando sopra il 20% come ai tempi precedenti al “divorzio Tesoro/Banca D’Italia). Il debito in pancia alla Bce non è arrivato al top della crisi dello shock petrolifero di fine anni ’70 a 35,89%, valore che oggi sembra lontano come impossibile sembrava, prima del covid, un’ipotesi di attuale inflazione galoppante. Il record di monetizzazione del debito è del 66,65% (il diavolo ci mette sempre lo zampino!) durante la Seconda Guerra Mondiale.
Rispetto agli anni ’70 attualmente i tassi reali, nominali meno inflazione, sono negativi. Negli anni ’70 si assistette ad un aumento repentino dei tassi nominali di mercato ma allora non c’era il vincolo degli altissimi debiti pubblici e privati in giro per il mondo, i conti pubblici erano invece relativamente in ordine e si poté sfruttare la “tassa da inflazione” per abbassare i debiti pubblici causando però una recessione. Fino a quanto potrà spingersi la sottoscrizione da parte di Banca D’Italia del debito pubblico? In teoria dovremmo essere al top ma, se si andasse in recessione/stagflazione, la quota parte dell’Istituto di Francoforte sarebbe destinata a tornare a crescere. Perché? Per il semplice motivo che negli anni 70-80 i tassi salirono a due cifre e così si formo il fenomeno dei “bot people” ma oggi, con alti debiti e duration lunga, non si possono alzare i tassi oltre certa soglia, anche se alto è il rischio che l’inflazione sfugga al controllo delle banche centrali. Oggi l’unica via possibile per rimettere i conti in sicurezza è puntare sulla crescita del pil maggiore e più veloce dell’onere del debito, per questo sarà necessario far convergere gli ingenti risparmi degli italiani nel capitale di rischio delle realtà territoriali, mentre lo stato dovrà intraprendere ingenti investimenti in infrastrutture, tecnologie e capitali umano.
Guido Gennaccari