L’inflazione è un bene o un male? Per l’economia di un pese un po’ di aumento dei prezzi, se accompagnato dalla crescita del pil (maggiore del tasso di rifinanziamento del debito) e un aumento dei salari più lento, è buona cosa. Se l’inflazione invece dovesse salire velocemente e con intensità allora la questione è asimmetrica: 1) i cittadini sono più poveri in assenza di adeguamento salariale o reddituale, accentuando le diseguaglianze socio-economiche nella popolazione 2) lo stato può sfruttare la tassa indiretta per abbassare il rapporto debito pil, soprattutto se non alza i tassi in proporzione all’aumento dell’inflazione, mantenendo una crescita più alta del tasso di rifinanziamento del debito. Ma la questione centrale è rappresentato dal rischio stagflazione: inflazione senza crescita. L’obiettivo delle banche centrali è chiaro: spingere al limite, nel valore e nel tempo, lo spread tra inflazione (aspettative) e tassi di interesse per rientrare dal debito pubblico creato con le politiche fiscali ultra espansive necessarie per affrontare la pandemia. Ma se l’elastico viene tirato eccessivamente, quale rischio si corre? Che le banche centrali perdano la fiducia (moral suasion) di Mr. Market relativamente al controllo della stabilità dei prezzi e quindi che i tassi di interesse possano esplodere insieme ai debiti pubblici e privati che registrano oggi un’alta duration. Cosa ci dicono i dati di mercato, a che punto siamo arrivati?
Il mercato anticipa sempre le mosse della Fed e gli incrementi di punti percentuali del rendimento del decennale US dall’ultimo bottom, negli anni ‘00 è sempre stato inferiore al 2%, nel 2018 si arrivò a +1,65%, oggi siamo a +1,37% fino adesso. La Fed, dagli anni ’80, ha registrato un rimbalzo del 2,33%-4,25% dove nel 2018 il 2,33% corrisponde a un tasso top Fed del 2,4% rispetto ad un tasso top di mercato che fu del 3,15% quindi uno spread dello 0,75% che, considerando i tassi treasury oggi all’1,97%, proietterebbe il tasso Fed a 1,22%.
La banca centrale americana alzerà i tassi nei prossimi mesi fino all’1,25%, probabilmente in 5 interventi da 25 basis points. Questa mossa potrebbe essere vista positivamente dai mercati finanziari, soprattutto se il debito/pil americano dovesse scendere e ritornare vicino al 100% per fine anno.
Nel rialzo dei tassi partito nel 2015 il rapporto con il pil rimase più o meno stabile, oggi con l’inflazione più alta potrebbe scendere ulteriormente. Ma se l’inflazione non scendesse (anche di poco) e si entrasse in stagflazione tra il primo semestre e la fine dell’anno, cosa accadrebbe? Mr. Market potrebbe ritirare la fiducia alle banche centrali mondiali e sarebbe un ottobre rosso indimenticabile.
Guido Gennaccari