Nella corretta gestione del patrimonio uno degli aspetti su cui si pone maggiormente l’attenzione è la metodologia di “diversificazione degli assets” che compongono il nostro portafoglio.
Secondo la teoria classica, la diversificazione consente ad un investitore di plasmare il portafoglio sulla base della propria avversione al rischio. Citiamo per pura esemplificazione la classica distribuzione della torta degli investimenti con 60% azioni/40% obbligazioni oppure 40% azioni/60% obbligazioni, per indentificare la scelta di un investitore più o meno predisposto al rischio di mercato.
Se però analizziamo il comportamento dei mercati negli ultimi anni, purtroppo ci rendiamo conto che l’assenza di correlazioni inverse tra differenti assets hanno ormai reso non più efficiente una suddivisione così semplice del portafoglio e dall’altra tecniche moderne di gestione del portafoglio (come il “risk-parity allocation”) hanno evidenziato l’importanza di definire prima il livello di rischio del singolo strumento finanziario e successivamente stabilire la percentuale di capitale da destinare a ciascun asset che comporrà il proprio portafoglio. Questo perché in alcuni momenti storici, quando si alterna il “risk-on o risk-off” sui mercati, l’investitore dovrebbe modificare la composizione del portafoglio incrementando o diminuendo la componente azionaria (e di conseguenza la parte obbligazionaria) proprio sulla base del rischio che il mercato sta assegnando in quel momento al singolo strumento finanziario.
In pratica lo studio del rischio di ogni singolo asset si dimostra più efficiente se paragonato al rapporto con il rendimento atteso da quella scelta. Ad esempio, per l’azionario lo studio della volatilità implicita delle opzioni sull’indice Ftse Mib (pubblicata giornalmente dal sito di Borsa Italiana) ci aiuta a capire il livello tendenziale di rischio che i Market Maker assegnano sull’azionario del nostro paese. In pratica una volatilità che aumenta è sinonimo molto spesso di possibili “turbolenze” sui mercati azionari e questo dovrebbe indurre gli investitori già esposti a ridurre l’Equity o a prendere le dovute precauzioni coprendosi dal rischi di sensibili crolli con l’acquisto a protezione di Etf o opzioni Put.
Nel grafico sotto vengono confrontate le volatilità implicite a breve e a medio termine sulle opzioni del FTSE Mib. Se si presta attenzione al giorno 25 aprile 2018 (cerchio rosso), giorno in cui è avvenuto un aumento sensibile della vola a breve a scapito di quella lunga, si dimostra come chiaramente questa semplice osservazione avrebbe anticipato di circa due settimane il crollo del nostro indice e consentito agli investitori in grado di leggere tali informazioni di proteggere il proprio capitale con appositi Etf od opzioni sull’indice o sulle specifiche azioni detenute in portafoglio.