Dal 2014 esiste un “Global Concflict Risk Index” europeo per la prevenzione dei conflitti. I dati sono consultabili solo dagli autorizzati. L’ultimo report del 2019 riporta un’analisi di 5 paesi: Libia, Sudan, Egitto, Maldive e Nicaragua, mettendo in guardia sui rischi futuri legati a Bandaglesh, Botswana, Chad, Colombia, Guatemala, Giordania, Myanmar e Tajikistan. La Commissione Europea ha però predisposto INFORM: “is a collaboration of the Inter-Agency Standing Committee Reference Group on Risk, Early Warning and Preparedness and the European Commission”. Il report annuale di Inform è consultabile. Quale era il punteggio nei vari anni per l’Ucraina a livello di rischio conflitto? Nel report 2016 era di 5,4 (up trend), nel 2017 era 5,3 (up trend), nel 2018 era 5,4 (stabile), nel 2019 pre covid era 5,2 (stabile), nel 2020 era 4,7 (down trend), nel 2021 era 4,6 (down trend) e nel 2022 era 4,5 (stabile). Quindi si è passati da un rischio “alto” del 2016 ad un rischio minore “medio” del 2022, ovviamente all’inizio del report c’è scritto “The data in this report pre-dates the February 2022 escalation of conflict in Ukraine”, sarà curioso vedere l’eventuale aggiornamento “All information was believed to be correct as of May 2022.” Cecità della Commissione Europea, scelta di mettere la polvere sotto il tappeto oppure modelli scarsamente attendibili per eventi imprevedibili con robustezza statistica? Certo la questione Ucraina non è arrivata improvvisa, l’escalation è stata rapida e repentina. Di fatto rimane l’incapacità dell’Europa di gestire una crisi geopolitica e diplomatica grave, che viene “guidata (delegata)” da Washington (Nato) o Pechino, mentre all’interno i policy maker europei stentano a trovare una linea comune efficace, come nell’economia reale dove una Bce dovrebbe avere la bacchetta magica per soddisfare l’obiettivo generale del 2% di inflazione con valori nei singoli paesi che vanno circa dal 4% al 10% (con l’elasticità variabile delle singole politiche fiscali nazionali).
Guido Gennaccari